LA PALUDE DELLA PSICHE
Non esistono solo gli interlocutori esterni della produzione letteraria, ma anche quelli interni.
Tuttavia devo fare una premessa che non sarà ben accettata. Cioè la letteratura è, anche , una forma di comunicazione e quindi questo aspetto va considerato.
E’ chiaro che si tratta di una comunicazione non solo razionale ma con forti connotazioni emozionali (è quello che in genere si chiama “estetica” ?).Ma questo carattere, forse, è presente in tutte le comunicazioni, per il fatto che sono protagonisti esseri umani, anche se , ovviamente, tra altri esseri animati abbiamo forme di comunicazione con caratteri propri.
Ma tra gli esseri umani seguendo la concezione psicoanalitica, automaticamente prende forma il fenomeno del transfert, cioè della proiezione tra i vari soggetti di un ritorno emozionale alle proprie esperienze passate (soprattutto infantili).Tutto questo ha un peso nella comunicazione umana e , per quello che qui ci interessa, nei prodotti letterari.E non si tratta solo dello scenario sociologico reale nel quale è inserito questo tipo di attività: chi è l’autore, chi sono i fruitori, gli editori, i canali di distribuzione, i critici ecc..
C’è uno scenario interno, psicologico, che riguarda il dialogo interno, la confabulazione che ognuno fa continuamente su tutto e che acquista una specificità per un autore. Due elementi di base, in questa prospettiva: l’immagine di Sé nel ruolo di autore e il continuo giudizio sulla creazione della propria opera.
Sappiamo, altresì, che il dialogo interno può svolgersi o con se stessi o nella fantasia che ci siano altri interlocutori. In ambedue le situazioni che si sviluppano nella progressione della creazione e infine nel giudizio sull’opera definitiva, appare in gioco da un lato l’immagine di se stessi che può essere connotata, a seconda della struttura caratteriale dell’autore o in senso onnipotente maniacale (con l’apporto di gratificazioni narcisistiche), quindi con un compiacimento di sé stessi che si rispecchia nell’attribuita alta qualità di ciò che si è saputo creare, oppure con la preminenza di tendenze depressive che si concretizzano nella critica, a volte inesorabile, su quello che si sta facendo.
D’altro lato vi sono gli altri, sempre nella confabulazione interna che intervengono fantasticamente. E qui si ripete la dicotomia basata sulla fantasia, appunto onnipotente-maniacale, di essere lodati, ammirati, accettati, soprattutto dai protagonisti specifici, quali i lettori e i critici. Oppure questi interlocutori diventano avversari senza pietà che sostengono che l’opera ha uno scarso valore, con un’evidente preminenza delle tendenze depressive. Questa contrapposizione che vede una specie di quadrilatero nei quali i quattro termini , dialogo con se stesso e dialogo con altri, e euforia maniacale per la propria opera e , invece, svalutazione depressiva, accompagna tutto il lavoro letterario (come tante altre forme di atteggiamento umano).
Inoltre questi aspetti psicologici possono essere rafforzati dalla situazione reale relativa agli altri protagonisti, questa volta non fantasticati, ma concreti che riguardano l’accettazione dell’opera inizialmente e quindi il suo andamento sul “mercato”.
L’atteggiamento degli psicoanalisti nei riguardi della letteratura è un misto di attrazione e di timore.
Timore perché davanti all’enorme fenomeno che è rappresentato dalla letteratura, nei secoli, e la conseguente, altrettanto fondamentale, crescita della critica, l’analista si considera, non a torto, un neofita piuttosto sprovveduto e ignorante.
Ma l’attrazione è forte: la letteratura rappresenta, attraverso le proprie varianti specialistiche (soprattutto, ma non esclusivamente, la prosa e la poesia) un polo seduttivo troppo forte. Questa seduttività è ovviamente basata sul fatto che la letteratura è anzitutto un prodotto esclusivamente umano, nel quale le vicende umane (o metafore di queste) ne sono il nucleo fondante ed è espressa attraverso la comunicazione linguistica. Tutto ciò riguarda, in modo determinante, anche il campo delle teorie e dei comportamenti relazionali che contraddistingue quel corpus sempre più variegato che chiamiamo Psicoanalisi.
In altri termini: la letteratura si basa sul linguaggio e sulla narratività. La seduta psicoanalitica si basa sulle parole (anche se c’è qualche suggerimento che riguarda la presenza fisica di ambedue i partecipanti). Ma anche i sogni e le fantasie, che sono fondamentali nell’edificio analitico, sono una mescolanza di elementi visivi e di elementi linguistici.
Ora quello della narrazione e cioè del racconto di vicende, soprattutto relazionali, diventa, secondo me, l’elemento di connessione tra la letteratura e la psicoanalisi.
In ogni caso affrontare l’enorme universo letterario (non solo nella produzione ma anche nella fruizione) da un punto di vista analitico è solo un aspetto marginale di una estesissima area relativa non solo ai giudizi (la cosiddetta critica) ma anche proprio della fruizione. Chi e come si leggono i libri? Quali le resistenze alla lettura? Quali le preferenze? E poi, come sottofondo, tutto l’aspetto della diffusione (cioè il marketing editoriale) ed anche dell’utilizzazione nella formazione e nell’istruzione.
Ovviamente le variabili sociologiche relative ai fruitori e cioè chi sono, in quale ambiente di formazione e di esistenza vivono, quale l’ideologia che condividono ecc.Ma gli stessi problemi si pongono per gli autori ed inoltre per l’apparato editoriale.
In tutto questo quale possa essere l’apporto psicoanalitico?
Dobbiamo tenere conto che l’approccio psicoanalitico, nato e perdurante nel versante terapeutico, si è costituito anche come una psicologia generale, di base. Non solo relativa al gioco delle emozioni, dei sentimenti, delle convinzioni, ma come spiegazione totalitaria di tutte le manifestazioni e i comportamenti umani.
Il totalitarismo psicoanalitico è sempre stato oggetto di critiche. E non solo da parte di altre impostazioni psicologiche, terapeutiche, ma anche da parte della neurofisiologia, della sociologia fino alla filosofia.Però la psicoanalisi è un sistema complesso ma anche abbastanza coerente, che utilizza vissuti soggettivi, comuni a tutti, che difficilmente vengono spiegati, nella loro completezza, da altre impostazioni.
Cioè nella psicoanalisi tutto ciò che è umano è spiegabile. Quindi il livello di seduzione è molto forte, proprio perché ancorato alla totalità del mondo soggettivo di ognuno.
E, ovviamente c’è chi critica questa impostazione per vari motivi ma noi analisti reagiamo usando proprio i nostri strumenti, affermando che i rifiuti della psicoanalisi non sono che resistenze per la sua radicalità.Per questa seduzione vediamo allora come vari “letterati” si sono avvicinati più o meno totalmente alla psicoanalisi stessa.
(Per un’interessante esame dell’incidenza psicoanalitica nella letteratura italiana e più in generale internazionale vedi –G.Alfano,S.Carrai, “Letteratura e psicoanalisi in Italia” Carrocci ed.2019- Altri testi fondamentali sono- E.Gioanola “Psicanalisi e interpretazione letteraria”Jaca Book 2017- e per un panorama più ampio, anche se datato-M.David”La psicoanalisi nella cultura italiana”Boringhieri 1966).
La mia posizione personale nei riguardi della psicoanalisi non è affatto totalitaria. La considerò però un modello, sia pure provvisorio, che ha una completezza, profondità ed adattabilità esplicativa dei processi psichici e delle loro conseguenze sui comportamenti umani che, attualmente non ritrovo in altre impostazioni, spesso troppo fenomenologiche, con scarse ipotesi sulla complessità delle persone.
Come avviene nell’universo scientifico poi altri modelli più esaustivi e verificabili potranno superarla o ampiamente, integrarla. La ristrettezza culturale degli psicoanalisti (sono uno di questi…), non riguardano tanto le scarse letture extra-disciplina che emergono dalle bibliografie degli scritti analitici, iniziando da un Freud che rivela una cultura limitatamente liceale ( cita esclusivamente Shakespeare, Goethe, Schiller e un po’di Nietzsche), ma dall’avere considerato le narrazioni del paziente ( e quindi quelle dell’analista) come appartenenti ad un unico dominio esclusivo, quello della seduta.
Eppure Freud aveva ottenuto, non a caso, un premio Goethe di Letteratura tedesca!
Quando nella sua, dobbiamo ahimè ammetterlo, aspirazione totalitaria a fare della psicoanalisi la “scienza delle scienze”, si imbatte nella letteratura ( mi riferisco ovviamente al “Poeta e la fantasia”), il modello proposto è un po’ troppo semplificato e si base su di un presupposto da psicoanalisi da salotto: la fantasia (e quindi specificatamente la narrazione) è il frutto del cosiddetto desiderio represso del poeta.
Lasciando stare per ora il problema di questo evanescente termine “desiderio” ( sul quale un noto giocoliere della psicoanalisi, Lacan, ha fatto le proprie fortune, assieme all’altro termine evanescente “l’Altro”…), resta il problema di come narrazioni, ripetute nel corso di annose sedute del paziente, più che svilupparsi nell’innovazione, si ripetono nella loro struttura sia semantica che sintattica.
Ma Freud, e qui emerge, come in altre parti della costruzione psicoanalitica, tutta la sua genialità innovatrice,e cioè nell’ipotesi di una ripetizione che non ha mai fine , ciò che richiama l’autopoiesi di Maturana e Variela. Purtroppo Freud deve attaccarci un’etichetta funerea , attribuendola all’ “Istinto di morte”, senza voler capire che, forse, si trattava di un meccanismo psichico e non di una mitica pulsione.
Un Freud che aveva buttato fuori, giustamente, Jung per le sue tentazioni metafisiche, con questa storia dell’ “Istinto di morte” rischia lui stesso di ricadere nella medesima tentazione.Ma questo è un altro discorso.
Qui ci interessa capire come la narrazione in seduta ( o meglio le due narrazioni complementari paziente-analista) appartengano, non tanto per le conseguenze, bensì per i presupposti, ad un’area più ampia e globale che è quella delle narrazioni generali.E qui la letteratura (prosa, poesia, teatro ecc.) ne rivendicano (ahimè giustamente per noi analisti…) la priorità e il dominio.
Sono millenni, che sotto tutte le latitudini e tra popoli e razze diverse , le letterature prosperano.
Rispetto ai poco più di cento anni di dialoghi pazienti-analisti, ci sono ben altre dimensioni .
Noi possiamo essere anche contenti dei ricordi della nostra vita, essenzialmente di quelli piacevoli. Anche se possono portarci a rimpianti e quindi rivelano una componente depressiva.
Ma ci sono anche altri aspetti che legano soprattutto i ricordi e le fantasie intrusive. Ad onta dei nostri tentativi, a meno di non avere un assetto di carattere rigidissimo, come gli ossessivi, siamo continuamente invasi da ricordi e fantasie derivate soprattutto di carattere persecutorio. Possiamo anche ricevere la visita di bei ricordi ma il troppo soffermarsi su questi può indurre quel sentimento della nostalgia che mi sembra che possa essere imparentato con tendenze depressive, sia pure condite con dolci gratificazioni. In ogni caso, mi sembra, i ricordi sono per lo più persecutori, aggressivi contro di noi stessi, colpevolizzanti, soprattutto relativi ai rapporti con altri. Qui, se non si riesce a sopprimerli subito quando si affacciano, si mette in movimento un meccanismo che i nostri cognitivisti chiamano counterfactual (io lo chiamerei più semplicemente :fantasie riparative retrospettive) e cioè modifico il ricordo persecutorio aggiungendo una fantasia nella quale capovolgo l’esito di quella situazione. Se qualcuno mi aggredisce e mi ricordo che l'ho subito passivamente, trasformo il tutto nella mia reazione che neutralizza l’aggressione ( e magari punisce anche il persecutore: un po’ di sadismo vendicativo non ci sta mai male…). Cioè è come una macchina del tempo, tipo film di fantascienza, con la quale torniamo indietro nel passato, per rimetterlo a posto. I cognitivisti affermano che il counterfactual rappresenta anche una specie di formazione, di addestramento, che ci dà gli strumenti per reagire se si presentassero analoghe situazioni (non necessariamente identiche).
Tuttavia, in termini più strettamente psicoanalitici, va presa in considerazione la continuità e ripetitività sia dei ricordi negativi sia delle reazioni immaginarie. Cioè il loro meccanismo è in costante attività. Questo può significare che la sua messa in movimento, nonchè la "alimentazione" di tale attività, affonda le radici in livelli psichici più profondi.
Possiamo ipotizzare, sempre all'interno dei paradigmi analitici, che l'insorgere continuo di fantasie spiacevoli sia funzionale alla presenza di componenti caratteriali di tipo autocolpevolizzante e addirittura masochistico (con tutta l'ambiguità di questo termine). Cioè io vengo punito per qualcosa che ho fatto o che ho immaginato di fare in un passato ormai censurato nella consapevolezza. Basti pensare all'esperienza negativa dei rimproveri, minacce, offese o addirittura messa in atto di punizioni (magari fisiche) nell'infanzia e aggiungerei anche nella fanciullezza, sia da parte di adulti che di coetanei. E proprio il ricordo o la fantasia di punizioni fisiche (sia pure lievi) possono essere l'accesso al fenomeno masochistico in quanto mix tra sofferenza e e stimolazione fisica eccitante.
Si tratta di un fenomeno altamente diffuso e d'altra parte, anche solo per scopi genitoriali educativi, sia pure blandi, in pratica universalmente o quasi, presente.
Da qui entrano in azione le misure difensive per evitare la sofferenza e anche la colpevolizzazione per l'attrazione erotizzata (il masochismo).
O si riescono ad utilizzare i meccanismi di negazione e di repressione appena le memorie persecutorie si presentano e si riesce a respingerle dalla consapevolezza oppure si ricorre alle fantasie riparative retrospettive( counterfactual) che cambiano la rappresentazione evocata superandone la sofferenza. Anche se l'utilizzazione di queste fantasie riparative danneggia la stima di sé poiché siamo consapevoli che la realtà è stata diversa.